martedì 9 novembre 2010

Gli Expat

Ho trovato questo articolo su Repubblica.it e penso che possa essere interessante per le nostre lezioni. L'originale è un po' lungo ma qui pubblico solo alcune righe.

Cara Italia, ti scrivo.it
Un Paese visto da lontano

Sono partiti per cercare fortuna, e spesso l'hanno trovata. I nuovi emigrati si raccontano a Repubblica.it. Ecco le loro storie di MICHELE SMARGIASSI

L'ITALIA è una cartolina nella cornice dello specchio, col timbro di tanti anni fa. È un rimpianto impossibile, un errore di gioventù, una patria sì bella e perduta e non ritrovata, un pensiero che non va più, che si posa sui clivi e sui colli solo nei rimpianti, buona solo per una svelta vacanza. L'Italia degli expat è un paese che non si può semplicemente lasciare: lo si abbandona, lo si ripudia, con dolore, spesso con livore, ma anche con un forte senso di liberazione, con la voluttà dell'avventura.


Expat è abbreviazione di expatriate, gli espatriati, quelli che lasciano per un po' o per sempre la nazione di cui hanno ancora in tasca il passaporto; un nomignolo che ha fatto successo, un distintivo esibito con sfrontatezza, dove sembra di leggere un'amara constatazione: siamo gli ex della nostra patria, lasciati andare senza neanche un arrivederci. Sono quattro milioni gli italiani nel mondo censiti dall'Aire, l'anagrafe degli italiani residenti all'estero, ma la prima grande sorpresa del censimento autogestito che Repubblica. it ha lanciato e che ha raccolto una quantità impensabile di adesioni, venticinquemila, è che neppure la metà di questi è registrata in quell'albo ufficiale. Dunque qui non parliamo di emigranti, neanche "nuovi", ma di un'altra categoria di italiani, invisibili e senza nome collettivo, un genere antropologico tutto da raccontare.

(...)
Ma casa, cos'è? Il concetto stesso di patria qui sta semanticamente slittando. La scelta di uscire dai confini nazionali si è fatta simultaneamente più drastica e più leggera. "Se voglio, in due ore sono a casa", "sono più vicino che se lavorassi a Roma". I voli low cost hanno stravolto l'idea di distanza, sostituendo le misure lineari con quelle temporali. "Mi sento europea non italiana": più di metà degli expat censiti vive in paesi dell'Ue, a mezza giornata di viaggio dal luogo di nascita, la moneta è la stessa, i consumi e le abitudini simili, la lingua non è un problema per la generazione globish: dunque è ancora davvero un "esilio" traslocare all'estero?
Sì, in realtà lo è ancora, se la frontiera da scavalcare non è più geografica ma mentale, di costume, di etica pubblica. È proprio questo che rende la scelta dei fuoriusciti italiani diversa da quella più serena dei loro coetanei nomadi di tutto il mondo. Gli expat tedeschi o americani non partono con lo stesso disgusto per ciò che si lasciano alle spalle: "Volevo stare lontano da una società sempre più superficiale", "ho lasciato un paese stantio, opprimente e privo di opportunità".



Potete leggere l'artico in

http://www.repubblica.it/economia/2010/10/22/news/cara_italia_ti_scrivo_it_un_paese_visto_da_lontano-8319065/index.html?ref=search

1 commento:

Manuela ha detto...

Anche se i vuoli low cost rendono le distanze molto più strette, è un peccato che tanta gente sia spinta ad allontanarsi dal suo paese, lasciare la sua famiglia per scappare da una vita senza scopo, dove il suo lavoro non è respettato, dove spesso neanche ce la fanno a trovarne uno.(Italiani o Portoghese)